DR. CHRISTOPH PAULUS

Educato ad uccidere?

Il desiderio assassino di amore

Cenni esplicativi di natura psicologico-evolutiva circa la genesi della personalità estremamente violenta

Translation by Cristina Commandini. Questions or remarks send to cristina.comandini@libero.it
Thank you for the translation, Cristina

Indice

La motivazione dei pluriomicidi o degli omicidi a sfondo sessuale non è costituita esclusivamente da fattori estrinsechi, come nel caso di un delitto commesso da un sicario, ma piuttosto da desiderio di potere o anche da pulsioni di natura sadico-sessuale. In ogni caso si tratta di fantasie criminali, originatesi già durante la prima infanzia, che contraddistinguono i serial killer dagli assassini “normali”, rendendoli, in base ai dati in mio possesso, attualmente incurabili.

In questa sede, vorrei proporre una nuova tipologia del serial killer e dell’autore di delitti a sfondo sessuale, espressa dal titolo di sapore vagamente pubblicitario: “Il desiderio assassino di amore”. Pertanto, in primo luogo, illustrerò dettagliatamente la cosiddetta teoria dell’affettività, cimentandomi inoltre nella spiegazione del motivo per cui ritengo che le cause dello sviluppo deviante di questa tipologia criminale risalgono all’età infantile. Successivamente presenterò un esempio di processo evolutivo campione, applicabile alla maggior parte delle tipologie criminali, che metterà in relazione fattori relativi alla personalità e all’ambiente.

Esiste una componente di malvagità congenita nell’uomo?

La personalità umana, ed il relativo sviluppo, costituiscono una materia estremamente complessa. Non vi è ombra di dubbio sul fatto che i processi evolutivi siano costituiti da un’interazione, ovvero una combinazione di predisposizione biologico-genetica ed influsso ambientale. Ciascuna componente, considerata separatamente, non determina necessariamente e direttamente specifiche caratteristiche, ma piuttosto è la reazione di una delle due componenti (ambientale) nei confronti della relativa predisposizione a coordinare lo sviluppo della personalità umana. Consideriamo, ad esempio, ciò che comunemente è definito dote, o talento: la dote, ad esempio la dote musicale, può essere innata, quindi in qualche modo ereditaria. Ebbene, l’“ambiente” ha due possibilità: stimolare tale dote (attraverso lezioni di musica), quindi migliorare ed ottimizzare le capacità latenti (vale a dire inizialmente nascoste), oppure ignorarle completamente senza offrire uno stimolo sotto forma di lezioni di musica, facendo sì che questo talento si perda con il tempo, se trascurato; è persino ipotizzabile che, dal momento che il “talento” musicale è riprova di capacità espressiva, venga penalizzato e (di conseguenza) represso.

Non vi è ombra di dubbio che lo sviluppo della personalità, così come la psicopatologia, siano radicati nell’infanzia. Già Sigmund Freud aveva richiamato l’attenzione su tale concetto. Egli, analogamente ad altri psichiatri infantili ( ad esempio Adolf Mayer), ha formulato una teoria secondo la quale l’ambiente in cui vive il bambino svolgerebbe un ruolo decisivo sul futuro equilibrio psichico.

Non è mia intenzione descrivere dettagliatamente gli episodi e le fasi dello sviluppo psicologico infantile, dal momento che sarebbero irrilevanti in questa sede, sebbene forse alcuni aspetti, quali linee educative, punizioni, sviluppi emotivi e cognitivi, abbiano comunque particolare rilevanza. Piuttosto desidererei chiarire alcuni aspetti della teoria dell’affettività, in quanto la ritengo fondamentale sia per l’interpretazione che per la tipizzazione di criminali estremi, siano essi serial killer o autori di omicidi a sfondo sessuale.

Teoria dell’affettività

John Bowbly – Harry Harlow

Da molti anni a questa parte, numerosi psicologi e psichiatri concordano sul fatto che le condizioni psichiche di un individuo sono fortemente condizionate dalla qualità dei rapporti interpersonali relativi alla prima infanzia: cordiali, rispondenti, sereni oppure violenti, tesi e freddi.

John Bowlby, la figura più rappresentativa della ricerca sull’affettività, riscontrò frequentemente, durante la sua attività di psichiatra infantile, che i bambini affidati ad estranei provavano una forte nostalgia della madre. Ciò sollevò la questione relativa alla natura e alle origini di un così profondo legame tra madre e figlio. In tal senso, la prima ipotesi individuò la causa dell’attaccamento alla madre da parte del bambino nel fatto che è quest’ultima a provvedere al suo nutrimento. Tale interpretazione, tuttavia, non costituiva una prova tangibile (ne illustrerò i motivi nel corso di un esperimento). A quei tempi Bowlby, venuto a conoscenza delle ricerche di Konrad Lorenz, si ripropose di analizzarne i risultati, dando loro un’impronta alla luce dei temi da lui trattati. Ne derivò la cosiddetta “prima fase” della ricerca sull’affettività, in cui Bowlby esplorò le funzioni del sistema affettivo tra il bambino e la figura di riferimento (non necessariamente da identificare con la figura materna). Tale sistema garantisce al bambino quel senso di sicurezza all’interno del proprio ambiente, per cui egli verifica costantemente la disponibilità psicofisica del genitore, o di chi ne fa le veci, sotto forma di un insieme di regole. In presenza di una minaccia, tale sistema si attiva, portando il bambino alla ricerca di un avvicinamento e di un contatto fisico nei confronti della suddetta persona. Il fatto che l’insorgenza di un rapporto stabile (di seguito ne menzioneremo i vari tipi) sia determinata dal contatto fisico, e non dal semplice nutrimento, fu dimostrato dagli straordinari esperimenti condotti negli anni Sessanta da Harry Harlow. Immediatamente dopo la nascita, due piccoli macachi furono allontanati dalla madre e posti in una gabbia, dove si trovavano due “madri” fittizie, di cui una li allattava e l’altra era coperta da un asciugamano bianco.

Per la maggior parte del tempo, soprattutto in caso di pericolo, i due piccoli si avvinghiavano alla “madre coperta dall’asciugamano”, mentre con la madre-fantoccio trascorrevano poco tempo, solamente durante l’allattamento.

La madre di peluche fu utilizzata anche come punto di partenza del percorso di esplorazione del nuovo ambiente: i piccoli si rifugiavano presso di lei, ogniqualvolta veniva indotta una situazione di panico.

Tuttavia è necessario sottolineare che i piccoli cresciuti con queste modalità divennero animali adulti caratterizzati da una scarsa capacità di socializzazione; le femmine sottoposte a fecondazione artificiale si sono rivelate violente ed irascibili. Tali fenomeni risultano in qualche modo ridotti se durante l’età dello sviluppo vengono mantenuti i rapporti con i coetanei.

Bowlby si è servito di tali risultati per spiegare, sia a livello comportamentale che emotivo, le reazioni infantili rispetto alla separazione dalla madre o alla sua perdita.

Le qualità del rapporto affettivo (Mary Ainsworth)

Mary Ainsworth, anch’ella esponente della teoria dell’affettività, ha ulteriormente sviluppato tali idee, concentrandosi sullo studio di vari modelli comportamentali in situazioni caratterizzate da una breve separazione dal genitore. Nella cosiddetta “situazione ignota” si può evidenziare, in bambini di età compresa tra 1 e 2 anni, l’interazione tra l’esplorazione ambientale ed il comportamento affettivo. I bambini vengono condotti, assieme alla propria madre, in una stanza mai vista prima, ma riconoscibile. In tale ambiente vi sono due sedie (una per la madre e l’altra per l’estraneo che verrà di lì a poco) e un tappeto con dei bei giocattoli. In un primo momento ci si limita ad osservare l’attitudine all’esplorazione propria del bambino; successivamente entra una persona gentile (un estraneo) che entra in contatto dapprima con la madre e, solo in un secondo momento, con il bambino; quindi la madre esce per un attimo dalla stanza lasciando il bambino in compagnia dell’estraneo; più tardi la madre esce di nuovo per un attimo, ma questa volta il bambino resta solo, e poi rientra.

E’ soprattutto in occasione del rientro della madre che sono emerse delle differenze nel comportamento affettivo, classificato rispettivamente come “stabile” e “instabile”:

A partire dagli anni Ottanta, sono state effettuate indagini più accurate sul fenomeno relativo a comportamenti del tutto errati, incomprensibili e fortemente devianti rispetto alla norma, anche se di breve durata (circa 10-30 secondi) da parte di bambini inseriti in una situazione ignota:

Trattandosi di un’interruzione del comportamento normale e sistematico, in base ad una serie di accertamenti di tipo empirico, tali gruppi sono stati classificati in una quarta tipologia affettiva, che costituisce una categoria a sé stante, denominata disorganica/disorientata (tipo D). Tale tipologia è emersa in particolare quando la situazione ignota ha subito una variazione: un clown entrò nella stanza, rimanendo immobile ed in silenzio sulla porta per 30 secondi. Di norma i bambini stringevano la mano della madre, impauriti, ma poi iniziavano ad osservare il clown. I bambini classificati come disorganici, invece, irrompevano in un pianto disperato, irrigidendosi completamente per mantenere la posizione eretta, quasi paralizzati dalla paura; altri si poggiavano alla parete con il capo, con lo sguardo spaurito rivolto all’indietro, verso il clown. Questo tipo di comportamento, denominato anche “the look of fear with nowhere to go”, era caratterizzato da una componente allucinatoria; i bambini non erano in grado di reprimere e superare la propria ansia, né sapevano a chi rivolgersi (sebbene la madre fosse presente nella stanza) (Solomon & George, 1991). Da studi successivi è emerso che circa l’80% dei bambini sottoposti a molestie presentava la suddetta tipologia affettiva.

Mentre il bambino caratterizzato da un rapporto instabile sviluppa delle strategie per affrontare situazioni che generano ansia, il comportamento del tipo disorganico/disorientato sembra rappresentare il crollo di tali strategie. Ciò si verifica, in particolare, quando la minaccia proviene direttamente dal genitore, situazione presente nelle esperienze infantili di numerosi serial killer. Ecco alcuni esempi:

Jürgen Bartsch.

“Nella casa di Langenberg, quando non rispettavo le regole da lei imposte, improvvisamente mi gettava addosso una bottiglia di birra. Quando crebbi ed aprii un’attività con lei (una macelleria), accadeva comunque che trasgredissi le regole in qualche modo. Una volta mi tirò un coltello da carne appuntito e mi mancò per un pelo. Riuscii solo a balbettare: ‘Ah, è così…’. ‘Già’, gridò lei, ‘è proprio così!’, poi mi sputò in faccia e, urlando, mi diede del pezzo di merda. Dopo uscì di corsa dal negozio e fece una telefonata; gli operatori riuscirono a sentire: ’Ora chiamo il signor Bitter (il responsabile dell’ufficio assistenza ai minori di Essen), deve provvedere affinché tu ritorni da dove sei venuto, perché quello è il tuo posto, maiale! Andai in bagno e piansi. (Lettera di Jürgen Bartsch a Paul Moor, 1 maggio 1968)

John Joubert

Raccontò che sua madre era sempre stata irascibile e, durante i suoi attacchi di collera, fracassava sempre oggetti vari. Lui sgattaiolava nella sua camera, aspettando che la madre si calmasse e si scusasse con lui. Ma lei lo sottoponeva a continue umiliazioni e gli faceva capire che non meritava il suo amore (Ressler & Shachtman, p. 144).

Ed Kemper

Quando lui non era in casa la madre, con l’aiuto delle sorelle, sgomberava la sua camera al primo piano e portava tutte le sue cose in uno scantinato senza finestre. Al suo ritorno, lo rimproverava di essere la causa di tutti i suoi mali; giustificava la relegazione del figlio in cantina con la sua mole notevole, per cui le sorelle non si sarebbero sentite a loro agio vicino a lui (R&S, p. 110).

“Mia madre è una donna che mi fa ribrezzo. Non riuscivo a pensare ad altro. La sua voce è talmente alta che voi non potete neanche immaginare. Mi picchiava spesso, se pensava che avessi fatto qualcosa diversamente da come andava fatto (Bourgoin, 1995, p. 155).

La peggior forma di minaccia è costituita, ovviamente, dalla molestia o dall’abuso sessuale, temi che approfondirò più avanti.

Mentre per la genesi di un rapporto stabile sembra essere in primo luogo la rispondenza da parte della madre a svolgere un ruolo decisivo, gli esiti di molteplici studi indicano che il rapporto disorganico è strettamente collegato a predisposizioni congenite nonché ad una ridotta articolazione del comportamento (Spangler, 1998). Alla luce di tale ipotesi, è possibile affermare che “serial killer si nasce”?

Stabilità della qualità affettiva

La qualità delle relazioni all’interno di un rapporto affettivo, con le modalità in cui si sviluppa durante il primo anno di vita, ha fatto pertanto molto scalpore in ambito scientifico, poiché la classificazione affettiva, a differenza di altri elementi di natura psicologica relativi a tale fase evolutiva, presenta un livello sorprendente di stabilità nel tempo. Ciò può essere riscontrato fino in età adulta, sebbene uno sviluppo “normale” sia ovviamente costellato da numerose altre fasi affettive. Anche le qualità del rapporto con la madre possono differire da quelle relative al rapporto con il padre: un bambino può essere legato al padre da un rapporto stabile, mentre il rapporto con la madre può essere di tipo disorientato. In ogni caso, un solo rapporto stabile non è generalmente sufficiente allo “sviluppo di un modello affettivo funzionale ed autonomo” in età adulta (Fremmer- Bombick, 1997). Infatti da interviste effettuate a sedicenni è emerso abbastanza chiaramente l’influsso della separazione dei genitori, una grave malattia o la perdita di una figura fondamentale dal punto di vista affettivo (Zimmermann, 1994). Alla lunga tuttavia l’influsso della qualità del rapporto materno incide in misura rilevante sullo sviluppo psicosociale del bambino (Zimmermann, 1997, p. 213).

La stabilità, riscontrabile fin nell’età adulta, non deriva tanto da un ambiente relativamente stabile- sarebbe alquanto irreale come punto di partenza- quanto piuttosto da una percezione selettiva in base ai modelli mentali presenti (materno, paterno, ambientale), attraverso i quali viene percepita ed interpretata ogni reazione da parte dell’ambiente. Crescendo, il bambino assume sempre più il ruolo di “artefice del proprio ambiente” (Lerner, 1984) operando, successivamente, una selezione delle persone con cui interagire (Bowlby, 1976). Nel caso di criminali, di frequente emerge il fatto che tale selezione, le cui conseguenze potrebbero essere anche positive, non si verifica quasi mai a causa delle scarse capacità di socializzazione. Per tale ragione, i modelli mentali negativi non vengono rettificati, bensì rinvigoriti dall’azione ambientale (minacciosa, ostile).

Attraverso il metodo denominato Adult Attachment Interwiews (Main & Goldwyn, 1985), è stato possibile dimostrare la cosiddetta stabilitàdei modelli affettivi da una generazione all’altra. “Le persone caratterizzate da un modello funzionale di tipo stabile-autonomo attribuiscono notevole importanza ai rapporti affettivi e alle relative esperienze, hanno una buona accessibilità ai propri sentimenti, per cui sono in grado di integrare anche le esperienze negative in un atteggiamento di fondo positivo. Hanno imparato a gestire esperienze spiacevoli nell’ambito di un passato stimolante dal punto di vista affettivo. In una situazione sgradevole, sono in grado di effettuare una valutazione realistica della situazione stessa in virtù delle loro facoltà percettive, che non escludono i sentimenti negativi, in modo tale da adottare strategie adeguate, sia a livello individuale che sociale, per risolvere la situazione. Le persone contraddistinte dal modello instabile-ritroso sono estremamente distaccate nei confronti delle tematiche affettive e non ricordano, o quasi, episodi e sensazioni infantili. Per timore di essere rifiutati, hanno imparato a reprimere i sentimenti negativi. A ciò si possono associare un’idealizzazione irreale o anche una svalutazione della propria persona, delle figure di riferimento o delle condizioni ambientali. A causa dell’elevata soglia percettiva, in situazioni spiacevoli non sono in grado di effettuare una valutazione adeguata e realistica della situazione e, quindi, di trovare una soluzione (incoerenza). Coloro che sono caratterizzati dal modello instabile-ambivalente manifestano tendenza all’errore, confusione, contraddittorietà nonché rancore nei confronti di relazioni precedenti. Non sono assolutamente in grado di integrare sentimenti di diversa natura. Il modello disorganico si esprime sotto forma di incoerenza verbale e mentale nonché irrazionalità, ogniqualvolta si parli di esperienze traumatiche quali morte, separazione o abuso” (Spangler, 1998).

Cambiamenti nel comportamento affettivo condizionati dall’età

In questa parte è mia intenzione descrivere brevemente il processo di modificazione che ha luogo nelle diverse fasce d’età.

La teoria dell’affettività prevede, come già descritto in precedenza, la nascita e lo sviluppo di un sistema di riferimento da parte del bambino nei riguardi di una o più figure di riferimento. Tale sistema viene attivato soprattutto in situazioni minacciose o stressanti e, a seconda della qualità del sistema affettivo del bambino, può esercitare una funzione difensiva.

Tali strutture iniziano a configurarsi a partire dal sesto mese di vita. In questa fase il bambino si prefigura dei modelli relativi alla disponibilità dei propri genitori, modelli che si stabilizzano nelle fasi evolutive successive e determinano le sue capacità di socializzazione. Ad esempio, alcuni bambini di 10 anni che avevano, all’età di un anno, un rapporto stabile, possedevano un solido gruppo di amici e presentavano minori difficoltà nel rapporto con i coetanei, al contrario dei bambini caratterizzati da un rapporto instabile (Scheurer-Englisch, 1989). I bambini di dieci anni che hanno definito la propria madre “inefficiente”, all’età di 16 anni hanno evidenziato una rappresentazione affettiva di tipo instabile-distaccato (Zimmermann, 1997, p. 213).

Crescendo, i ragazzi imparano a potere e dover risolvere i problemi autonomamente, sviluppano strategie emulative in presenza di stress o disagio, distaccandosi sempre più dalla figura di riferimento. Ciò non significa che il rapporto affettivo venga del tutto eliminato, bensì scivola più che altro in secondo piano e non si esprime più sotto forma di ricerca di contatto fisico, ma piuttosto di contatto o comunicazione di natura psicologica (Bowlby, 1983). Tuttavia i bambini caratterizzati dal modello instabile presentano difficoltà e quasi incapacità ad allacciare nuove relazioni (ad es. con i coetanei). I ragazzi che rientrano nel modello stabile (16-17 anni) al contrario possiedono un’elevata capacità di socializzazione e livelli inferiori di ostilità, angoscia ed insicurezza (Zimmermann, 1994).

La qualità del rapporto, dal punto di vista della stabilità, dipende molto dalla concomitante stabilità dell’ambiente che circonda il bambino. Età infantile ed adolescenziale costituiscono la cosiddetta “fase sensitiva”, nel corso della quale si sviluppa e si consolida il rapporto di fiducia nei confronti della (o delle) figura(e) di riferimento, che “permane relativamente invariato per tutta la vita” (Bowlby, 1983, p. 246). I cambiamenti ambientali, che influiscono in modo diretto sulla sfera sentimentale del bambino, possono portare ad una modifica qualitativa del rapporto, sia in senso positivo che negativo. Cambiamenti di questo tipo includono, ad esempio, l’aggiunta di un’ulteriore figura di riferimento (nonni, fratelli), un diverso atteggiamento della madre nei confronti del bambino, un cambiamento nelle condizioni di vita dei genitori, gravi malattie, perdita di un genitore, o anche rapporti conflittuali tra genitori separati, i cui effetti si fanno sentire già prima del divorzio vero e proprio (Block, Block & Gjerde, 1986).

Da un’indagine dell’FBI inerente 36 autori di omicidi a sfondo sessuale (serial killer) è emerso che nel 47% dei casi il padre aveva abbandonato la famiglia prima del dodicesimo anno di età del figlio; il 72% dei casi è caratterizzato da un rapporto negativo con (altre) figure di riferimento maschili ed oltre il 40% ha lasciato la famiglia già prima del compimento della maggiore età.

In un ambiente familiare caratterizzato da criminalità emerge, in ogni caso, l’assenza di figure fondamentali nei momenti più importanti: l’infanzia, la prepubertà (8-12 anni, è questo il periodo in cui per la maggioranza dei criminali si riscontra l’assenza della figura paterna per decesso, per arresto o per separazione dei genitori). Altre figure in cui identificarsi durante la pubertà, come ad esempio i nonni (numerosi criminali hanno trascorso tale fase in collegio o in penitenziario perlopiù a causa di tendenze piromani), amiche o partner (la maggior parte dei criminali non è in grado di mantenere una relazione duratura). Molte persone con analoghe esperienze infantili (anche se si verificano assai raramente con tale frequenza), superano tali fasi senza divenire necessariamente degli assassini. Nel caso in cui, invece, si accumulino determinate circostanze negative - “madre poco amorevole, assenza del padre o abusi da parte di questi o di fratelli maggiori, rifiuto scolare, inefficienza delle autorità, associati all’incapacità del bambino di avere uno sviluppo sessuale normale – praticamente vi sono tutte le premesse per un comportamento deviante” (Ressler & Shachman, 1992, p.114).

Qualora poi si aggiungano, quale fattore precipitante, anche fantasie criminali, allora la “carriera discendente” diviene pressoché inevitabile. Con quali modalità si sviluppano tali fantasie?

Conseguenze emotive del rapporto instabile o disorganico. L’insorgenza di fantasie criminali

L’ipotesi che uno sviluppo emotivo inadeguato sia indotto da un comportamento errato da parte dei genitori è stata ampiamente dimostrata. Ad esempio MALATESTA & IZARD (1984) sostengono che il bambino, fino all’età di 3 anni, si innervosisce e reagisce in modo negativo se la madre non si pone in empatia con lui, magari rimanendo completamente impassibile o voltandogli le spalle in circostanze in cui questi si aspetta, invece, una conferma di natura emotiva. Se la madre ignora, o quasi, i desideri o i messaggi del bambino comportandosi in modo passivo e poco amorevole, le emozioni di quest’ultimo si affievoliscono, si appiattiscono; il bambino cessa di esprimere i propri sentimenti, adottando un atteggiamento apatico (…) se invece il comportamento emotivo della madre è inadeguato ed imprevedibile, il bambino è costretto ad adottare un comportamento emotivo estremamente intenso, al fine di suscitare una qualche reazione nella madre (GEPPERT & HECKHAUSEN, 1990). HARRIS ha osservato che i bambini che subiscono violenze diventano molto spesso aggressivi nei confronti dei coetanei e, in caso di bisogno, li soccorrono più raramente e meno volentieri. Di fronte a segnali quali pianto o dolore, tali bambini reagiscono più frequentemente con violenze, minacce ed aggressioni (MAIN & GEORGE, 1985). In una fase successiva, una linea educativa non rispondente, fredda, rigida e mortificante può generare nel bambino durezza, comportamenti violenti e disturbi nella socializzazione (ULICH & MAYRING, 1992; MANTELL, 1978). Uno sviluppo emotivo inadeguato può portare il bambino ad una percezione distorta di se stesso, oltre che all’assenza di emotività (LEWIS & MICHALSON, 1982).

La mancata rispondenza da parte del genitore diventa particolarmente grave laddove viene frustrato il bisogno del bambino di sicurezza e stabilità. Questo favorisce la comparsa di reazioni quali collera o violente contestazioni, dovute al fatto che il bambino si sente ferito. “Il movente dell’aggressione verrà quindi notevolmente sviluppato, qualora abbia un valore estremamente funzionale per le strutture centrali della personalità; alla luce di questa considerazione, anche l’origine stessa del movente diviene un ‘processo motivato’. Il suo scopo sembra dunque consistere principalmente nella salvaguardia o nella (ri)conquista di un concetto positivo di sé. Tali ipotesi sono sostenute da prove che dimostrano come la carenza di autostima nel bambino costituisca, a livello interculturale, il presupposto fondamentale delle varie configurazioni del movente” (KORNADT, 1989b).

In uno studio, Carlson et al. (1989) hanno effettuato un confronto tra 22 bambini, di età compresa tra 11 e 16 mesi, soggetti ad episodi di maltrattamento o negligenza ed alcune coppie di madri e bambini non sottoposti a violenze, analizzando il rapporto di tipo D che li caratterizzava. Sono stati riscontrati i seguenti risultati:

Tale spiccata percentuale (82%) di rapporti D riscontrata in bambini che subiscono violenze, tradisce i dati “normali” emersi da indagini non rivolte a bambini sottoposti a molestie. In tal caso, la percentuale dei bambini definiti in un primo momento “non classificabili” e, successivamente, come “di tipo D” oscilla intorno al 20%.

Quali sono le caratteristiche proprie del ”caregiving environment” in cui sono inseriti i bambini sottoposti a violenze?

Innanzi tutto, si tratta di un ambiente inconsistente ed incongruo (ritenuto tale anche da parte di numerosi serial killer); il 18% dei bambini (maltrattati) ha riferito molteplici tipi di molestie, anche nei confronti di eventuali fratelli; il bambino, cioè, è stato testimone di violenze. Ne consegue che la percentuale di molestie è di gran lunga superiore rispetto a quella nota agli assistenti sociali.

Il fattore determinante per lo sviluppo di un rapporto di tipo disorientato è costituito dall’aggiunta della paura ad un’educazione altrimenti idonea. La paura e la diffidenza divengono emozioni familiari per bambini vittime di molestie o negligenza. Un comportamento contraddittorio da parte dei genitori, che alternano in modo non sistematico atteggiamenti premurosi e punitivi, favorisce lo sviluppo nel bambino di un comportamento di avvicinamento- ritrosia, tipico della tipologia D. Dopo la separazione dalla madre il bambino tenta di raggiungerla, rimanendo però come pietrificato durante tale azione perché non sa che tipo di reazione aspettarsi.

Da uno studio sull’affettività è emersa una percentuale inaspettatamente alta di bambini maschi appartenenti alla tipologia D. Generalmente non vi sono differenze di tipo sessuale nello sviluppo delle tipologie affettive, tuttavia numerosi studi provano che i bambini risultano di gran lunga più vulnerabili in caso di danni psichici rispetto alle bambine (es. Zaslow & Hayes, 1986) e che i bambini caratterizzati da un rapporto instabile incontrano maggiori difficoltà di socializzazione.

La tesi in base alla quale i disturbi di natura emotiva possono comportare un indebolimento dell’autostima è stata già analizzata nell’ambito delle ricerche relative allo sviluppo cognitivo condotte da Piaget & Inhelder (Inhelder, 1968). Inoltre sono stati riscontrati dei parallelismi con gli studi sull’affettività, in virtù dei quali è emerso che la qualità del rapporto madre-bambino esercita un notevole influsso sulle capacità ed inclinazioni del bambino all’esplorazione dell’ambiente che lo circonda. I bambini caratterizzati da un rapporto instabile evidenziano gravi deficit comportamentali relativi all’esplorazione ambientale, in quanto ignorano il tipo di reazione della madre di fronte a tale comportamento; contemporaneamente sviluppano un’immagine di sé caratterizzata dalla mancanza di autostima la quale, a sua volta, pone dei limiti alla suddetta esplorazione. I bambini di tipo disorganizzato presentano, con la crescita, delle reazioni particolari nei confronti di situazioni caratterizzate da una separazione. Solomon & George (1991) hanno osservato, in uno spettacolo di marionette sulla separazione genitori-figlio, che bambini dell’età di 6 anni avevano fantasie catastrofiche di tipo ansioso- violento e “allucinatorio”, senza saper giungere ad una soluzione del problema. Tali fantasie di tipo violento-bizzarro sono state riscontrate anche in uno studio condotto da Cassidy (1988). In alcune interviste svolte al termine dello spettacolo di marionette, i bambini si sono pronunciati principalmente sulla propria mancanza di valore. Il quadro ambientale trasmesso dalla madre appare inverosimile nonché disorganico. Il tutto diviene pericoloso per il bambino, laddove l’aggressività propria ed ambientale sembrano incontrollabili. I bambini di questo tipo hanno scarsa fiducia nel fatto che qualcuno sarà loro vicino in situazioni pericolose o minacciose. Tale atteggiamento produce un’immagine ostile dell’ambiente e comporta una reazione altrettanto ostile e collerica anche nel bambino, nel momento in cui dovrebbero essere attivati i sistemi affettivi (quindi la ricerca di protezione).

Un bambino non è in grado di superare autonomamente traumi derivanti dall’aver subito o assistito a molestie. In tal modo si verifica l’insorgenza di fantasie o sogni ad occhi aperti. Le fonti bibliografiche evidenziano regolarmente che:

Anche in tal senso non mancano esempi di condotta da parte di assassini o stupratori recidivi, i quali reagiscono spesso in maniera insolitamente violenta ed aggressiva al minimo inconveniente.

Reagisco in modo collerico innanzi tutto di fronte alle critiche, automaticamente, perché penso che le critiche mi sminuiscano” (J. Bartsch, cit. da Moor, 1991, p.187).

In quasi la totalità dei casi noti, i pluriomicidi presentano forti componenti sessuali di natura sadica. Attualmente, l’ipotesi a lungo accreditata circa un maggiore istinto sessuale non è più attendibile (cfr. ad es. BURGESS et al., 1986; FBI, 1985; FÜLLGRABE, 1983, 1992; GÖBEL, 1993). Al contrario, viene ipotizzata una motivazione estremamente aggressiva. Nel comportamento sessuale ci sono anche motivazioni prive della componente erotica, come dimostra SCHMIDT (1983): “La sessualità acquista intensità e dinamismo indipendentemente dal carattere della persona e non soltanto per effetto di stimoli di natura sessuale, attivandosi ed intensificandosi in virtù di motivazioni e sentimenti tutt’altro che sessuali”. Ciò vale in particolare per quel che riguarda la perversione, specialmente il sadismo. Già il MARCHESE DE SADE aveva descritto assai esaurientemente il modo in cui il delitto perfettamente pianificato, raccapricciante, che va al di là dell’immaginazione, possa essere il presupposto del maggior godimento possibile. Il superamento di tabù e norme costituisce per lui una fonte di piacere sessuale. “Il senso di tale familiarità con la libido ed il desiderio sessuale va ricercato molto semplicemente nella perversione”. (SCHMIDT, 1983). Ad esempio STOLLER (1976, 1979) definisce la perversione una forma erotica dell’odio. L’orgasmo non implica esclusivamente l’eiaculazione, ma anche una “manifestazione megalomane di libertà”. L’appagamento sessuale deriva dall’esperienza della soluzione di un conflitto, del superamento dell’ansia, del trionfo della sensualità sulla prostrazione (STOLLER, 1975). Secondo MORGENTHALER (1974) l’appagamento dei desideri sessuali scivola in secondo piano ed è spesso del tutto irrilevante nell’ambito di un rapporto perverso. Dalle indagini di Stoller, SCHMIDT (1983) deduce tre processi particolarmente significativi inerenti la perversione e, in misura minore, l’eccitazione sessuale:

  1. l’oscillazione tra l’attesa ed il superamento del rischio; il correre un rischio, seppur previsto, aumenta l’eccitazione sessuale;
  2. in una situazione di tensione, caratterizzata da ansia ed esaltazione, la sessualità si trasforma in conflitto. Il leitmotiv della drammaturgia dell’eccitazione sessuale è pertanto (secondo STOLLER) l’ostilità. L’annichilimento del partner, che diviene un mero oggetto della situazione erotica, costituisce secondo STOLLER un aspetto importante dell’ostilità in campo sessuale;
  3. il rischio e la lotta sfociano nella soluzione del conflitto, nel superamento di esperienze infantili traumatiche, di conflitti o traumi che, secondo STOLLER, generalmente si originano nell’ambito dello sviluppo dell’identità sessuale.

Gli effetti della sessualità descritti da STOLLER sono stati criticati in particolare da SCHORSCH (1978), il quale puntualizza che una sessualità intensa non è tale esclusivamente in virtù di un atteggiamento ostile, bensì anche “desideri e nostalgie infantili, o l’ideale di uno stato di estasi paradisiaca vissuta in precedenza possono riaffiorare nella sessualità”. Riallacciandosi a GOLDBERG (1975), SCHMIDT (1983) definisce tale meccanismo “sessualizzazione dell’affettività” ipotizzando che “sentimenti che causano sofferenza, quali angoscia, pudore, sgomento o mortificazione, sentimenti di natura aggressiva, quali collera o odio, ma anche sentimenti positivi, come gioia ed approvazione, vengono convertiti in sensazioni erotiche e tradotti, sul piano sessuale, in desiderio, attrazione ed eccitazione. L’intensità delle esperienze e del desiderio sessuale, così come il livello di appagamento, non dipendono dall’intensità dell’”impulso istintivo”, bensì dalla carica simbolica dell’atto sessuale, generalmente inconscia ed implicita e spesso comprensibile esclusivamente sulla base della biografia della persona”. Pertanto sessualità e perversione possono rappresentare una sorta di ostilità deviante da cui scaturiscono obiettivi d’azione di natura aggressiva piuttosto che sessuale.

Prima che questa motivazione estremamente aggressiva giunga, come estrema conseguenza, all’omicidio, cioè all’azione realmente motivata, i criminali coltivano fantasie caratterizzate perlopiù da una forte componente di violenza. L’FBI (1985) sostiene in proposito: “Tali fantasie sono estremamente violente e spaziano dallo stupro alla mutilazione, fino ad arrivare alla tortura o all’omicidio. Si tratta di fantasie che vanno al di là dei normali desideri sessuali, volti al conseguimento del piacere”. Facendo riferimento ad uno studio dell’FBI relativo ai serial killer, già abbondantemente citato, FÜLLGRABE (1992) analizza pertanto la dinamica relativa all’insorgenza di fantasie sadiche: prima dei 18 anni, il 56% dei criminali fantastica di commettere uno stupro, ma appena il 40% di loro ha subito a sua volta abusi sessuali in età giovanile.

John Joubert, riferendo le sue prime fantasie criminali manifestatesi all’età di 6 o 7 anni ha raccontato che si avvicinava strisciando alla baby-sitter, l’assaliva alle spalle, la strangolava ed infine la divorava interamente. Successivamente, attraverso i delitti, ha potuto concretizzare quelle fantasie che, fin dall’età di sette anni, aveva perfezionato di continuo.

Durante un interrogatorio, Peter Kürten ha fatto verbalizzare la seguente dichiarazione: “Quando ho immaginato di squarciare l’addome ad un tale, o comunque di ferirlo gravemente, mi sono sentito soddisfatto definitivamente (…) ho anche pensato di provocare delle stragi introducendo dei microbi nell’acqua potabile (…) poi ho immaginato anche di utilizzare delle scuole, o qualcosa del genere, dove mietere vittime distribuendo piccoli campioni di cioccolata avvelenati con l’arsenico. LENK & KAEVER, 1974).

A giudicare dalle descrizioni delle fantasie criminali effettuate dai serial killer stessi si tratta fondamentalmente dell’anticipazione di azioni che si verificheranno in un secondo momento così come immaginato. Contemporaneamente vengono calcolate le eventuali conseguenze di tali azioni e le emozioni che ne derivano. “I meccanismi propri dell’‘immaginazione’ presentano una serie di analogie con quelli inerenti ‘percezione’ ed ‘azione’ (KORNADT & ZUMKLEY, 1992).

Non tutti i bambini reagiscono al proprio ambiente sviluppando fantasie criminali, così come non tutti coloro che nutrono tali fantasie vi danno poi libero sfogo. Ciò che distingue, in età infantile, i serial killer da tali bambini è l’estremo egocentrismo che caratterizza le loro fantasie negative e di tipo aggressivo-sessuale (BURGESS et al., 1986). E’ indicativo che tra le varie interviste a serial killer non si sia mai evidenziato alcun racconto di fantasie o sogni positivi. Pertanto non è chiaro se tali sogni siano realmente esistiti o se, invece, siano stati semplicemente repressi nella memoria per effetto di violente fantasie criminali. Il conseguente legame tra sessualità e violenza può essere riconducibile a molteplici cause, una delle quali potrebbe essere costituita dal fatto che molti serial killer hanno subito abusi sessuali in età infantile o sono stati testimoni di tali abusi (ad es. nei riguardi dei fratelli) (vedi sopra). Prima o poi tali fantasie si concretizzano durante il gioco nei confronti di altri bambini. Un criminale ha riferito che all’età di 15 anni aveva trascinato con sé degli adolescenti di età inferiore nella stanza da bagno, dove li aveva costretti a rapporti orali ed anali. Così facendo aveva riproposto l’esperienza vissuta all’età di 10 anni sostenendo però, in quell’occasione, il ruolo del prevaricatore e non più quello della vittima (BURGESS et al., 1986).

Nelle fantasie criminali, il ruolo fondamentale è svolto dalla morte e dall’omicidio. “La morte è un esempio di controllo estremo ” (BURGESS et al., 1986). Esercitare controllo sull’ambiente implica potere e sicurezza, in quanto viene esclusa la possibilità che si verifichino imprevisti o, in ogni caso, situazioni minacciose cui far fronte. Colui che mantiene il controllo, detiene forza e potere, sentendosi quindi immune da qualsiasi minaccia. Il primo anello di questa catena di argomentazioni è costituito dalla fantasia; tuttavia ogni serial killer, ad un certo momento, giunge al punto in cui le semplici fantasie non sono più sufficienti a garantire il senso di sicurezza e protezione desiderato, cosicché nasce il desiderio di metterle in pratica. E’ così che, di norma, si apre la serie omicida. Nel caso in cui il criminale non venga arrestato subito dopo il primo delitto, il cerchio si chiude e apparentemente le fantasie ottengono conferma. Si realizza una coesistenza di apparenza e realtà.

Lo sviluppo cognitivo ed emotivo inadeguato, tipico dei bambini caratterizzati da un rapporto D è stato avallato da vari studi.

Ogni forma di rapporto instabile deve essere classificata come “fattore di rischio maggiore, poiché i modelli funzionali interni, che derivano da un rapporto instabile, comportano maggiori probabilità di sviluppo di un comportamento inadeguato e di valutazioni errate di progetti e finalità altrui, nonché uno scarso livello di integrazione e congruenza emotive, in particolare per quanto riguarda i sentimenti negativi associati a situazioni di disagio” (Fremmer- Bombick, 1997).

Queste argomentazioni sono avvalorate da una serie di dati provenienti da uno studio dell’FBI (cit. da FÜLLGRABE, 1992).

Le argomentazioni relative alla teoria dell’affettività, sinora sostenute essenzialmente in via teorica, hanno evidenziato la presenza di alcuni elementi basilari, finora sottovalutati, che potrebbero contribuire alla configurazione delle “fasi evolutive” fondamentali della vita di un serial killer, associate innanzi tutto ai seguenti fattori:

La nuova tipologia criminale “desiderio di amore”

Perché ho inserito tale ricca introduzione teorica, effettivamente alquanto lunga? Perché a mio avviso, le tipologie criminali sinora tratteggiate non sono sufficienti ad inquadrare gli stimoli, vale a dire la motivazione, di gruppi specifici composti sia da serial killer che da stupratori recidivi.

Vorrei citare ad esempio le seguenti dichiarazioni:

Ed Kemper (7 delitti): “ Adoro spiare le ragazze e seguirle da lontano. Immagino di amarle e di essere amato da loro, anche se so che questo non accadrà mai” (Bourgoin, 1995, p.154).

“Cercavamo di ottenere la premura e l’amore di mio padre, ma lui oramai aveva un’altra famiglia” (ibid., p.158)

Jürgen Bartsch “ Ero sempre geloso, sempre, quando volevo bene a qualcuno, mi ci attaccavo come una sanguisuga. Se questa persona aveva delle attenzioni per qualcun altro o giocava con lui, allora impazzivo nel vero senso della parola. La mia gelosia allora ricadeva sulla persona per cui provavo simpatia. Quindi, per rabbia, lo tormentavo dando, ad esempio, ad altri una cosa che gli avevo promesso, sotto i suoi occhi: (Moor, 1991).

(Ricordi dell’infanzia trascorsa a casa): “Immaginavo questa scena: ci saremmo calati i pantaloni a vicenda, poi ci saremmo anche masturbati ed infine abbracciati… L’abbraccio, la pelle, il calore corporeo di quel ragazzo sarebbero stati persino più belli della masturbazione (ibid.)

“Arrotolavo spesso una coperta, che rappresentava il bambino, e poi la stringevo al petto, ma senza alcun desiderio sessuale. Per me era un gesto liberatorio, una vera benedizione.

(…) Ho parlato davvero con il bambino (…) come se fossi stato un’altra persona, uno che ama i bambini e gioca con loro. (p. 389).

“Quando sono una persona normale, amo i bambini come ogni madre. Normalmente non sarebbe normale, ma io lo trovo giusto” (p.392)

Uno dei miei più grandi desideri è sempre stato quello di svolgere un lavoro che abbia a che fare con i bambini, in cui possa fare qualcosa di buono per loro (…) Non fraintendetemi: la sessualità non c’entra affatto, è semplicemente un grande affetto quello che nutro per loro. (…) Penso che questi bimbi di cinque o sei anni dovrebbero essere (…) essere abbracciati, a mio avviso. E questo vale, a maggior ragione, con i bambini più piccoli. (p. 394)

Il riferimento alla teoria dell’affettività, descritta all’inizio, è palese: tali dichiarazioni indicano una ricerca di sicurezza, di amore e di totale fiducia, cose che tali persone non hanno mai ricevuto durante l’infanzia. I delitti scaturiscono spesso dal timore che “il destinatario del legame affettivo” possa frustrarli, allontanandosi da loro, schernirli o ferirli. Il desiderio di sicurezza è talmente intenso che il criminale tenta di realizzarlo impiegando i mezzi concepiti dalla sua fantasia, quindi di natura violenta. Qualsiasi forma di cambio di prospettiva, cioè la capacità di riconoscere i sentimenti altrui, ovvero di riconoscere che gli altri provano dei sentimenti, o di percepirli quali individui, è totalmente assente. Ciò può (e dico “può” con la dovuta cautela) essere il risultato di disturbi affettivi insorti già in età infantile.

Stabilità e determinismo del rapporto

I risultati delle ricerche relative alla stabilità del legame affettivo vengono spesso interpretati erroneamente come determinismo. Talvolta si solleva quindi l’accusa che il paradigma della ricerca sull’affettività equivale alla considerazione, da parte della ricerca stessa, della qualità affettiva nel primo anno di vita come trait (Lewis & Feiring, 1991). Di conseguenza verrebbe attribuita estrema importanza all’educazione del bambino durante il primo anno di vita, mentre quella successiva verrebbe relegata in secondo piano. Naturalmente questo non è vero.

I risultati empirici mostrano in modo sorprendente una stabilità relativamente forte dall’età infantile a quella adolescenziale. In ogni caso ciò non esclude l’insorgenza di alcuni cambiamenti nel corso di tale fase. Pertanto si osserva chiaramente il fatto che rapporti instabili possono stabilizzarsi per effetto di una maggiore premura da parte delle figure di riferimento, di cambiamenti nelle condizioni di vita dei genitori o di un diverso atteggiamento sia da parte della madre che del bambino. Soprattutto il periodo che va fino ai 16 anni di età è ritenuto, dagli stusi sull’affettività, la fase “sensitiva”, nella quale si consolidano il sistema affettivo ed i conseguenti sviluppi emotivi e cognitivi.

Ed è proprio tale fase che, nei serial killer, presenta i maggiori deficit, già descritti in precedenza (madri poco rispondenti, assenza del padre come punto di riferimento, stabilità inconsistente in ambito sociale, alternanza delle figure di riferimento dovuta alla permanenza in collegio, poche amicizie, sviluppo cognitivo inadeguato, pesanti frustrazioni provenienti dall’ambiente, violenze, ecc.). Tale stabilità “negativa” si consolida poi nel sistema affettivo dell’adolescente e, nelle fasi successive, diviene sempre più difficile porvi rimedio.

Esempi

Leszek Pekalski (1-? delitti) “Io volevo abbracciare Sylvia, volevo flirtare con lei. Il tutto è durato un paio di minuti, ma lei non voleva, si è difesa e così l’ho picchiata.” (…) “Però vorrei almeno avere una ragazza, dato che sono ancora così giovane”.

Da una perizia psicologica: “Un individuo insicuro e disorientato, labile, assoggettato, dominato e maltrattato dalle donne fin dall’infanzia. Tuttavia non può fare a meno di loro ed aspira a valori quali comprensione, gentilezza, amore e cordialità”. (…) “Alla fine uccidere era divenuto, per lui, un normale momento di socializzazione. Sembra anche talmente assurdo e brutale il fatto che quello era il suo modo di relazionarsi agli altri.

Da una perizia psichiatrica: “Non ha mai imparato a vivere emozioni positive, come ad esempio l’amore da parte degli altri o la capacità di immedesimarsi negli altri. Non conosceva la simpatia o altri sentimenti di natura emotiva. Questa è una delle carenze più gravi”. (Buvall, 1998)

Ed Kemper (7 delitti)

“Adoro spiare le ragazze e seguirle da lontano. Immagino di amarle e di essere amato da loro, anche se so che questo non accadrà mai”. (Bourgoin, 1995, p.154)

· Dennis Nilson (15 delitti) “killed for company”

I suoi genitori si separarono quando aveva 4 anni. Dopo il divorzio, la madre stabilì che il bambino doveva vivere con i nonni. Lui amava molto suo nonno, ma questi morì due anni dopo. – Le vittime le strangolava e le avvolgeva in un pellicola di plastica, per poterle poi nascondere sotto alle tavole di legno del pavimento. Occasionalmente le tirava fuori e le metteva accanto a sé sul divano per non sentirsi solo. (Everitt, 1993)

Bibliografia